Nota Introduttiva di Anna Luisa Zazo:"Chiunque, sia esso gentiluomo o gentildonna, non trae piacere da un buon romanzo, non può non..." e qui sarà bene interrompere la citazione, nel timore di essere scortesi, e concluderla con un semplice: "non può non avere torto". Nell'originale la frase è meno sfumata, e chi desiderasse conoscerla per intero la troverà in Northanger Abbey ("L'abbazia di Northanger"), il romanzo di Jane Austen pubblicato postumo nel 1817 a causa di numerose vicissitudini editoriali e non, ma completato nel 1803. Fra le altre cose, il romanzo è una divertita satira dei romanzi "gotici"; e di questi il più famoso (sebbene la paternità del genere "gotico" vada probabilmente assegnata a Horace Walpole con The Castle of Otranto, "Il castello di Otranto", del 1764) è senza alcun dubbio The Mysteries of Udolpho ("Imisteri di Udolfo") che Ann Radcliffe pubblicò nel 1794 e che Jane Austen aveva presente alla memoria quando scrisse Northanger Abbey. Sullo stesso fronte della signora Radcliffe, prima di giungere alla singolarissima, ingenua e tragica Emily Brontë di Wuthering Heights ("Cime tempestose", 1847), si possono schierare tra i molti Clara Reeve (The Old English Baron, "Il vecchio barone inglese", 1777), William Beckford (Vathek, 1784), Matthew Gregory Lewis (The Monk, "Il monaco", 1796), Mary Godwin Shelley (Frankenstein, 1818), Charles Robert Maturin (Melmoth the Wanderer, "Melmoth l'Errante", 1820). Mentre, du cóté de chez Jane Austen non è possibile non ricordare quanto meno la pungente Frances Burney di Evelina (1788), Maria Edgeworth (1767-1849), Mary Russell Mitford (1786-1855), Elizabeth Gaskell (1810-1865). Tutto questo non vuole essere un arido elenco di nomi né un fiero ricordo che la presenza femminile, nella letteratura inglese, è stata sempre determinante. No, più semplicemente vuole ricordare che un buon romanzo merita di venir goduto (sempre, si intende, che i lettori distinguano con rigorosa precisione la fantasia dalla realtà). E, più ancora, vuole delineare le due correnti fondamentali dalle quali è nato il romanzo romantico inglese, romanzo romantico che gli inglesi, in questo più fortunati di noi, definiscono con un solo termine, romance. E la parola romance, sia detto per inciso, può riferirsi tanto agli ultimi drammi di Shakespeare quanto ai romanzi di Georgette Heyer o Constante Heaven. Ai romanzi romantici, appunto, che, se in Inghilterra non hanno mai cessato di suscitare interesse, in Italia conoscono in questi ultimi anni un singolare revival di cui sarebbe utile (e non arduo) individuare le cause. Utile, ma tale da condurre troppo lontano dalla linea del discorso: le due componenti del romanzo romantico. La componente gotica, dunque: virtuosissime fanciulle perseguitate, perfidi persecutori, trovatelli, abbazie in rovina, zingari, streghe, castelli (falso) - medioevali dove sinistri scricchiolii annunciano inimmaginabili orrori, torvi misteri (spiegati con indomita razionalità dalla signora Radcliffe, più spesso lasciati tali da Maturino Beckford), eroine dotate (nelle parole di Egerton Brydges) di "...elevata semplicità, totale purezza di cuore, affetti ardenti e sublimi... capaci... di dar prova... di altera forza d'animo che lascia attonito il vizio e nobilita l'avversità"; e, nelle parole di Jane Austen: "Creature senza macchia, di perfetta bontà, grande tenerezza e sentimento, e non un briciolo di intelligenza". E la componente illuministica, settecentesca, spiritosamente romantica: eroine che, seppure a volte si sentono perseguitate, sanno con molta eleganza liberarsi dalle false o vere persecuzioni, vivono in ambienti aristocratici o borghesi ritratti con garbata ironia che nulla hanno di (falso) - medioevale, e ottengono sempre quello che vogliono; nella stragrande maggioranza vogliono un marito, ma non un marito qualsiasi, e questo, ai loro tempi, poteva essere un segno di indipendenza e desiderio di libertà. Eppure, sebbene le due componenti appaiano contraddittorie e abbiano dato luogo a due diverse linee narrative, è accaduto che si siano fuse creando romanzi in cui il mistero, l'avventura, il romanticismo si temperano di ironia, di buon senso, di garbata auto-parodia. Non vi è motivo di stupirsene: l'elemento gotico e l'elemento razionale non sono parte della sola narrativa, ma della stessa natura inglese, in cui si fondono e convivono felicemente la fantasia piu scatenata e il più concreto senso della realtà quotidiana, il più delirante romanticismo e la più ironica satira del romanticismo. Basterà ricordare due illustri esempi: le opere di Shakespeare dove la più alta e rarefatta poesia si accompagna alla più plateale comicità, e la personalità di Lord Byron (personalità.che non di rado è stata di grande aiuto alle autrici passate o presenti di romances che hanno nei confronti di Sua Signoria un debito non sempre riconosciuto), capace di condursi come il più romanticamente byroniano dei suoi eroi e subito dopo di farsi beffe con divertita e acutissima ironia degli atteggiamenti byroniani dei suoi contemporanei, di dedicare strofe del più deplorevole romanticismo alle donne amate e di dichiarare che tutto quanto chiedeva a una donna era che avesse spirito e sapesse ridere (anche, perché no? delle sue patetiche strofe e delle sue pose byroniane). I due esempi sono forse troppo illustri e io mi allontano troppo dal tema o lo affronto con troppa solennità? Ma il diritto alla divagazione, non sancito costituzionalmente, è tuttavia, a mio avviso, un diritto inalienabile; e Oscar Wilde affermava che "bisognerebbe trattare gli aspetti più leggeri della vita con assoluta serietà, e gli aspetti più seri con sincera e deliberata leggerezza". Teoria che è forse bene non applicare alla vita, come immagino lo stesso Oscar Wilde sarebbe stato in ultima analisi pronto a riconoscere (e d'altro canto la sua frase contiene in se stessa la propria negazione), ma che è un'ottima teoria in letteratura. Infine, per tornare al filo del discorso e alla frase iniziale, un buon romanzo è degno che se ne tragga piacere, e dunque che se ne parli con serietà. Ora, tra le moderne autrici di romances, Constance Heaven è certo tra quelle che meglio rispettano la tradizione e meglio sanno creare una vicenda appassionante, in giusto equilibrio tra mistero, realismo e romanticismo, riallacciandosi così in qualche modo tanto alla corrente gotica quanto a quella austeniana (certo la Austen merita di dare il nome alla corrente di cui è la maggiore rappresentante), sebbene sembri avere una predilezione per il romanzo gotico. La causa va forse cercata nell'ascendenza della Heaven, nata in un sobborgo di Londra ma di origine tedesca per parte di padre, che unisce quindi alla tradizione del romanzo gotico e alla familiarità inglese con tutto quanto è arcano e non familiare, il senso a volte ossessivo del mistero delle antiche tradizioni germaniche? Forse lo si deve ancora di più alla vita stessa dell'autrice che, essendo stata a lungo, insieme al marito William Heaven, attrice e direttrice di compagnie teatrali prima di dedicarsi interamente alla narrativa, possiede quel senso della realtà dell'irrealtà (e viceversa) che è parte essenziale del teatro; e il teatro non è forse parte essenziale della cultura inglese? Quel che è certo è che in questo Erede dei Kuragin (che segue nella pubblicazione La famiglia Kuragin, La stirpe degli Astrov, Il castello delle aquile, Il posto delle pietre, I fuochi di Glenlochy, La regina e lo zingaro, Il signore di Ravensley) i lettori troveranno, come nei precedenti romanzi della Heaven, il tema che è, nell'una o nell'altra forma, l'elemento centrale di ogni vero romanzo: la lotta tra il bene e il male, con la vittoria finale del bene, come è giusto che sia e come è in ogni romance che si rispetti e che aspiri a essere uno di quei "buoni romanzi" dai quali ogni gentiluomo o gentildonna deve saper trarre piacere sotto pena di... E qui rimando ancora una volta i lettori a Jane Austen lasciando "ai critici di condannare le effusioni della fantasia a loro piacimento... [perché] sebbene le nostre opere abbiano dato più vasto e autentico piacere di quelle di ogni altra categoria letteraria... nessuna composizione è mai stata tanto attaccata [quanto il romanzo 'd'evasione']. Per orgoglio, ignoranza o rispetto della moda, i nostri nemici sono numerosi quasi quanto i nostri lettori... nel condannare e sottovalutare l'opera del romanziere... vale a dire un'opera in cui si dispiegano i maggiori poteri della mente, in cui la più completa conoscenza della natura umana, la più felice descrizione della sua varietà e la più viva effusione di intelligenza e umorismo vengono espresse nel miglior linguaggio". Questa appassionata difesa del romanzo non è meno valida per essere uscita dalla penna di una romanziera e non è meno vera oggi di quanto lo fosse all'epoca di Jane Austen. Sempre, si intende, che venga riferita a un "buon romanzo". Anna Luisa Zazo © 1980 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
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