traduzione di A.L.Zazo © 1972 - Mondadori © 2005 - Sperling & Kupfer © 2012 - Astoria |
"Le duchesse" afferma gravemente Justin Alastair duca di Avon "non danzano sulla sedia". Ma ci sono duchesse e duchesse, e se l'autrice del romanzo si chiama Georgette Heyer è per lo meno azzardato voler stabilire prima della fine quali duchesse siano vere e quali false, quale personaggio abbia l'asso nella manica, quale pezzo (il re, la regina, l'alfiere, o soltanto una pedina opportunamente giocata?) permetta di dare scacco all'avversario. Quando un duca inglese, tanto incredibilmente bello, tanto incredibilmente intelligente, e tanto incredibilmente libertino da meritare, nella Londra libertina dell'ultimo trentennio del settecento, il soprannome di Satana, decide di entrare in un complesso gioco di innocenza tradita, di gioventù oppressa, di perfidia impunita, e di tenerne le fila con raffinata e crudele impassibilità, chi può mai dire che cosa accadrà alla fine, se a muovere i pezzi sulla scacchiera: il re, la regina, l'alfiere e la pedina scambiata, non è affatto lui in realtà, ma Georgette Heyer? Da tempo, nella letteratura inglese, se il delitto non paga, la virtù rende. E la Heyer non ignora certo questo assioma: ma, correggendo sapientemente la puntigliosa saggezza di un Samuel Richardson con la gioiosa spregiudicatezza di un Fielding, affiancando Tom Jones e la virtuosa Pamela, costruisce un romanzo straordinariamente divertente in cui le fanciulle virtuose e perseguitate hanno sufficiente spregiudicatezza per rendere affascinante il loro candore, e i libertini viziosi e persecutori sufficiente tenerezza d'animo per rendere irresistibile il loro libertinaggio. Cavalcate, rapimenti, congiure, anime nere, balli a corte, fughe notturne: Georgette Heyer non dimentica nessun ingrediente della grande tradizione del romanzo d'avventura, quello che i lettori e i critici moderni riscoprono, e scoprono di amare, dopo tanti anni di sperimentalismo e di antiromanzo. Con un'intelligenza che non si prende, intelligentemente, sul serio, con un'ironia calibratissima e un'inesauribile vivacità di stile, la Heyer intesse, sull'eterno tema di Pigmalione vinto da Galatea, un arazzo settecentesco perfetto nei particolari come nelle scene d'insieme, delicato, raffinato e sgargiante a un tempo, i cui personaggi, vivi e indimenticabili come creature in carne e ossa, si muovono secondo regole perfettamente congegnate che si liberano tuttavia e si fanno invenzione immediata nel gioco di una fantasia affascinante. |